News 15 Giugno 2009

NOI – Nuova Associazione Imprenditori – Tavola Rotonda : Quale logistica per gli Indipendenti?

Alessandro Proietti’, ‘Partecipanti: Enrico Risaliti, Alessandro Proietti, Elena Veronelli (Staffetta Quotidiana – Moderatore) Summary: “”Gli operatori indipendenti del settore, sia rete che extra rete, guardano alle attività di rifornimento, supply e logistica, con preoccupazione e timore che per la maggior parte non sono giustificati dalla realtà corrente e dalle ragionevoli previsioni in merito ai probabili sviluppi del mercato nel medio-lungo termine. Il problema è solo quello di generare una massa critica minima che consenta di operare in modo efficiente, problema certamente di non facile soluzione perchè richiede il superamento della tradizionale cultura di un business esasperatamente individuale, laddove comunque non ci sono alternative !”” Relazione: Nel giro di pochi anni gli operatori cosiddetti “no-logo” hanno acquisito una significativa quota di mercato sia in termini di presenza che di vendite. Le previsioni riguardo al futuro di questo particolare segmento di mercato riflettono due scuole di pensiero sostanzialmente diverse. Da una parte c’è quella che non crede ad ulteriori sviluppi anzi considera probabile un regresso in parte già testimoniato da qualche ripensamento e magari anche abbandono da parte di alcuni indipendenti laddove la competizione in termini di prezzi è diventata più aspra lasciando ai “no-logo” un minore spazio di manovra e di profitto. Dall’ altra c’è la scuola di pensiero che considera l’ era dei “no logo” solo agli inizi nella convinzione che il processo è irreversibile avendo già superato un punto di non ritorno, come conseguenza della spontanea evoluzione del mercato. A mio parere la prima scuola di pensiero è frequentata da chi considera terminata la sua business mission nel senso che ritiene di aver lavorato abbastanza e non ha più voglia di misurarsi con le insidie di un mercato certamente molto più complesso rispetto al passato. Un ascuola frequentata da chi in realtà non ha mai maturato una cultura retail mentre da indiscutibilmente bravo commerciante ha saputo cogliere l’ opportunità di utilizzare una esperienza tipicamente extra rete sviluppando una attività retail fondata sulla stessa ben familiare logica dell’ extra rete, cioè il prezzo. E’ pertanto abbastanza naturale che questi operatori si trovino a voler/dover riconsiderare le scelte di qualche tempo fa a fronte di una competizione ormai generalizzata e concentrata proprio sull’ unico autentico fattore di successo, il prezzo o meglio lo sconto. E’ infatti poco probabile che nel prossimo futuro un operatore “no-logo” possa basare la sua attività puntando sul solo vantaggio competitivo del “maggiore sconto” continuando a sfruttare lo spread esistente tra mercato rete ed extra rete che le società petrolifere hanno finora garantito. Se si ritiene di non poter fare altro, di non avere alternative, si fa certamente bene ad abbandonare la strategia “no-logo” tornando a quella di un più rassicurante convenzionamento con brand più o meno importanti, quando non del disimpegno totale. La scuola di chi prospetta un futuro di ulteriore crescita e sviluppo del settore “no-logo” è frequentata invece da chi non si lascia spaventare dalle evoluzioni del mercato ma guarda alle stesse anche in termini di opportunità da sfruttare a proprio favore. Nello scenario di evoluzione del mercato ragionevolmente prevedibile nell’ arco dei prossimi quindici-venti anni appare peraltro davvero improbabile un ritorno al passato. Complice il simultaneo verificarsi di circostanze diverse è cambiato in modo irreversibile il consumatore, sul piano culturale innanzitutto che lo fa attento al prezzo, al valore dell’ offerta nel suo insieme e molto meno al marchio, ma soprattutto è mutato il quadro delle strategie delle società petrolifere che sono i veri regolatori di questo business. Infatti, per quanto spesso oggetto di lamentazioni varie, non possiamo non ritenere che lo sviluppo del segmento “no-logo” di questi ultimi anni sia anche “figlio”…. e probabilmente neanche tanto “illegittimo” del mutare, magari alquanto disordinato e confuso, delle loro strategie. I comportamenti delle società negli ultimi tempi suggeriscono la tendenza ad un sostanziale ridimensionamento del loro coinvolgimento nelle operazioni di distribuzione dei carburanti autotrazione e dei prodotti di raffinazione in genere, probabilmente in una logica di ritorno al passato che le ha viste protagoniste assolute nell’ upstream e nel downstream principalmente nella raffinazione, nelle attività di supply e della distribuzione primaria. Un ruolo ancora terribilmente importante per questa industria ma certamente meno problematico, per il sentire di oggi, sul piano dei costi, vedi risorse umane e marketing vario, e dei rischi di immagine, leggi contestazione sui prezzi e rischi ambientali. Il significativo ridimensionamento degli investimenti da parte delle società petrolifere farà crescere nel prossimo futuro il ruolo della imprenditoria privata che probabilmente a regime si attesterà attorno al 70-75% e che di conseguenza imporrà una sostanziale rivisitazione dei ruoli. La diminuita importanza del marchio ed il minore interesse del fornitore ad investire in termini di immagine al di là di alcuni “cluster”, parola oggi molto in voga, particolari lascerà altro spazio ai “no-logo” che magari allora saranno diventati anch’ essi “logo” per la loro diffusione e presenza su base geografica locale. Una inversione di tendenza che metta in discussione una tale ipotesi di scenario futuro mi appare davvero improbabile ed in ogni caso avverrebbe in tempi molto lunghi. Per quanto non sostenitore del “no-logo” in termini per così dire ideologici, considerandoli piuttosto solo come risposta laddove l’ evoluzione del mercato lo impone, sono certo del loro affermarsi definitivo nel medio-lungo termine magari attraverso una forma più evoluta rispetto a quella attuale e pertanto credo sia chiaro a quale scuola di pensiero appartenga il sottoscritto…. Infatti il mio apprezzamento è tutto per chi, magari all’ inizio forzato dagli eventi contingenti, ha scelto poi di sviluppare la propria attività nella logica del “no-logo” senza per questo sottovalutare il ruolo e l’ importanza non tanto del brand in sé quanto delle società petrolifere che senza dubbio continueranno ad avere un ruolo primario anche se diverso dal passato. Tra l’ altro personalmente non vedo un vero e proprio confronto-conflitto tra le parti ma il recupero di una situazione di equilibrio tra tutte le forze che agiscono sul mercato: istituzioni, società petrolifere, imprenditori, rappresentanze di categoria, organi di comunicazione, posizione di equilibrio che tenga conto delle esigenze dei singoli ma anche delle ormai definitivamente mutate condizioni al contorno. Questo non significa che la strada da percorrere sia agevole, al contrario è molto difficile. La logistica rappresenta una “questione” complessa laddove evito accuratamente di adoperare la parola “problema” perché non voglio che la si consideri tale nel senso che non deve apparire come un problema particolarmente difficile e tantomeno insuperabile. Cercherò di darvene alcune convincenti ragioni. E’ un fatto che se l’ imprenditoria privata, con i suoi impianti “logo”, “no-logo” e GDO rappresenta già oggi oltre il 70% del mercato in termini di strutture la logistica per circa l’ 80% è rimasta nelle mani delle società petrolifere, con una di queste in assoluta posizione dominante, il che rappresenta ovviamente un elemento di particolare vulnerabilità per gli indipendenti e gli imprenditori privati in generale. Una vulnerabilità che è oggettiva al di là del fatto che per ragioni di antitrust il network delle società petrolifero sia aperto a tutti coloro che volessero far transitare i prodotti attraverso le loro strutture. Una vulnerabilità che è minore o nulla in altre realtà europee dove gli indipendenti sono organizzati con una propria autonoma attività di supply e relativa struttura logistica qualcosa di cui gli indipendenti italiani non hanno sentito di doversi preoccupare perché come ben sappiamo sono le stesse società petrolifere a garantire loro il servizio, quasi sempre fino alle consegne al punto di vendita. Gli scenari di mercato per il prossimo futuro dovrebbero suggerire all’ imprenditoria privata, “logo” e “no-logo” l’ opportunità di assicurarsi una certa flessibilità nella gestione delle fonti di approvvigionamento ridimensionando l’ indiscusso potere egemonico, esercitato o anche solo potenziale, di chi oggi ne ha il controllo pressoché assoluto. D’ altra parte è comprensibile che la logistica rappresenti la nuova linea di difesa delle società che la controllano a valle della ormai irreversibile perdita, voluta o subita, del controllo sulle dinamiche marketing del mercato. La logistica rappresenta dunque il passaggio obbligato per chi guarda al futuro. In effetti logica vorrebbe che in una situazione di così forte sbilancio nella logistica gli imprenditori privati piuttosto che traguardare soltanto un sempre più elevato obiettivo di presenza e di vendite cominciassero ad investire nell’ area appunto della logistica a garanzia della loro indipendenza e della profittabilità futura della loro attività. Così non è e allora cerchiamo di comprenderne le ragioni per poi capire se davvero rappresentano difficoltà insuperabili oppure al contrario è possibile gestirle, e in che modo. Francamente ritengo che la prima ragione risieda nel “dna” della categoria. Il “dna” dell’ imprenditore privato che opera nella distribuzione dei prodotti petroliferi è di base quello del commerciante-tipo che acquista la merce franco il proprio negozio e la rivende al cliente oppure ancora più semplicemente “affitta” il negozio al fornitore ed al gestore in cambio di una royalty. E’ il “dna” di chi crede, anche correttamente, che ognuno deve fare il mestiere che gli compete in funzione del bagaglio culturale e professionale. Il problema è che assecondando tale logica si corre il rischio di ignorare la evoluzione dei mercati e quindi di ghettizzarsi in schemi che gradualmente finiscono per metterti fuori mercato. Ogni attività umana di successo è figlia della cultura della ricerca e dello sviluppo anche nelle sue formi apparentemente minori e banali ma sempre essenziali. Non c’è niente di sbagliato nel continuare a svolgere il ruolo commerciante tradizionale purché sia chiaro che nel tempo lo spazio di manovra si andrà gradualmente riducendo mentre il potenziale di crescita nel medio e lungo termine sarà sempre più legato alla capacità di trasformazione e di integrazione in un ruolo industriale, quello che oggi le società petrolifere sembrano volere lasciare a disposizione di chi possiede visione, iniziativa e coraggio. La seconda ragione è nel pur comprensibile dubbio di non possedere i requisiti adatti per affrontare una sfida rischiosa in aree non familiari, il timore della novità. La logistica, ed a maggior ragione il supply, sono considerate attività che impongono una gestione estremamente complessa, per la quale è necessaria una esperienza specifica consolidata nel tempo. Il mettere in discussione le proprie capacità e risorse a fronte di sfide in campi di azione poco conosciuti è un atteggiamento saggio, di persone responsabili e come tale da apprezzare ma occorre evitare che diventi un vero e proprio alibi per rinunciare. Nei momenti di crisi più nera quando più forte è il sentimento di ribellione nei confronti di chi, a ragione e più spesso a torto, è ritenuto principale responsabile dell’ aumento dei prezzi c’è sempre qualcuno che dichiara non più rinviabile una sua iniziativa diretta nel campo del supply e della logistica, o viceversa. Nei fatti si tratta solo di una reazione nevrotica a fronte dei presunti atteggiamenti anomali addebitati alle società petrolifere. Infatti non esiste nel mercato italiano un imprenditore privato che possa sviluppare una attività di supply e di una logistica autonoma. Nessuna possibilità. A prescindere dalle competenze professionali e dalla disponibilità di basi logisticamente adeguate, competenze e disponibilità che peraltro esistono e sono sul mercato, il problema è che per avere una ragionevole garanzia di successo l’ attività di supply e logistica deve poggiare su una massa critica di vendite minima dell’ ordine dei 500-600 milioni di litri. Messo in questi termini il problema c’è ed ha tutta l’ aria di essere insuperabile. Non è così. Innanzi tutto vediamo se possiamo uscire dal circolo vizioso della inutilità di una struttura logistica senza supply e di una attività supply senza logistica. In realtà il solo fattore veramente critico è proprio la logistica perché anche se avessimo negoziato l’ acquisto del prodotto a condizioni eccezionalmente vantaggiose senza una logistica adeguata non saremmo in grado di metterlo in vendita. In parole povere supply senza logistica non ha senso mentre una logistica può esistere indipendentemente dal supply, naturalmente in una prospettiva di sviluppo ed integrazione successiva delle due attività. La logistica potrebbe dunque rappresentare la prima pietra sulla quale costruire un progetto di presenza in questo particolare settore di attività ed è una ipotesi di lavoro fattibile perché una certa capacità logistica è già disponibile sul mercato attraverso operatori privati. In genere quando si parla di logistica si pensa a strutture di proprietà con tutte le problematiche relative all’ investimento ed alla gestione delle operazioni. In realtà una capacità logistica, anche relativamente ampia, può essere semplicemente affittata da operatori privati del settore con accordi di medio-lungo termine che prevedono tutta la serie di servizi legati all’ uso di detta capacità. E’ troppo ovvio che i canoni di affitto e di servizio non saranno ottimali ma l’ operazione va vista in una logica di pre-investimento per il futuro sviluppo di questa attività. Non trascuriamo il fatto che alcune società petrolifere non dispongono, o dispongono solo in piccola parte di una logistica propria mentre si appoggiano ampiamente su strutture di terzi. Si dirà poi che le strutture logistiche private sono localizzate in determinate aree geografiche e principalmente al Nord. E’ vero ma la situazione è in evoluzione con prospettive a favore del Centro e magari anche del Centro-Sud perché va considerato che la contrazione dei consumi sta determinando un esubero della capacità logistica complessiva rispetto alle necessità anche nell’ ambito delle società petrolifere le quali a breve potrebbero pertanto essere indotte a offrire condizioni economiche ben più favorevoli di quelle attuali dando così vita ad un mercato della logistica vero e proprio. In conclusione l’ avvio di una attività nell’ area della logistica è possibile e realistica sul piano della disponibilità delle capacità ma non per questo il problema potrebbe dirsi risolto perché anche l’ attività logistica richiede una massa critica minima sebbene significativamente inferiore a quella necessaria per il supply. Anche in questo caso si tratta comunque di un volume al di sopra delle potenzialità del singolo imprenditore privato soprattutto perché tale massa critica deve essere ben concentrato in una determinata area geografica. La soluzione di questo problema è ovvia…. ed addirittura facile se non tornasse in gioco il “fattore umano” quello che nella fattispecie fa dell’ imprenditore privato un essere estremamente individualista, culturalmente poco disponibile a mettere in comune le proprie risorse con altri imprenditori privati. E’ un altro problema di “dna” che richiederebbe un intervento genetico perché si tratta di un atteggiamento mentale che rischi di non esser in linea con i tempi. L’ imprenditore privato è tradizionalmente cresciuto nella cultura della competizione, spesso anche a distanza, tra i suoi simili dove l’ obiettivo fondamentale è sempre stato quello di vendere di più del collega, guadagnare di più, apparire di più, … anche!, il tutto favorito da chi, e a beneficio di chi, ha sempre dato la massima attenzione alla strategia del “divide et impera”. Sono stato testimone diretto di come vantaggiosi accordi quadro di fornitura di prodotti non siano stati conclusi solo perché qualcuno ha ritenuto che la sua partecipazione ad un pool di acquisto avrebbe ridotto la potenzialità di una sua negoziazione a livello individuale. Atteggiamento mentale che oggi non ha motivo di esistere e che individua solo la scarsa visione strategica, la vana arroganza e presunzione di chi lo assume. Il problema di oggi non è quello di essere più bravo, o di apparire tale, del collega imprenditore perché oggi l’ avversario con il quale confrontarsi è il mercato, una realtà fatta dalla combinazione di tanti fattori che spesso prendono spunto da dinamiche lontane nella geografia e nelle realtà locali, qualcosa che sfugge a qualsiasi controllo da parte del singolo individuo che per quanto importante, ben strutturato, con tutte le qualità che si vuole, rimane comunque una entità modesta in un sistema dove anche soggetti ben più organizzati si trovano in difficoltà. Da qualche anno, dopo circa quaranta trascorsi tra Exxon e Q8, sto vivendo una interessante esperienza come imprenditore privato, un imprenditore privato singolare perché in realtà non possiedo alcun punto di vendita. Il mio ruolo è quello di coordinare l’ attività di un gruppo di veri imprenditori privati nel comune sforzo di trovare il modo di gestire al meglio le sfide che il mercato ci pone. Se da una parte il mio impegno è pragmaticamente rivolto a risolvere i problemi pratici di varia natura che gli associati si trovano a dover affrontare, l’ attenzione principale, con l’ apparente consenso di tutti, è rivolta a sviluppare un progetto di “change management”, di un rinnovamento culturale utile ad affrontare con una visione nuova le sfide attuali e future. La chiave del successo è il lavorare insieme mettendo a disposizione del gruppo professionalità diverse, esperienze di lavoro ed umane diverse, le risorse disponibili pur proteggendo la privacy delle individualità, un progetto ambizioso che però ormai gode di una quasi generalizzata condivisione. La scelta, quasi casuale, del nome dato alla associazione con quel NOI di Nuova Organizzazione Imprenditori suona di buon auspicio nel nostro impegno di lavorare “insieme”. In questo contesto affrontare il nodo della logistica e del supply rappresenta un obiettivo, al tempo stesso un fine ed un mezzo. E’ un “fine” perché all’ interno della associazione è ormai maturata la convinzione che occorre lavorare in quella direzione specialmente in quei mercati dove nei no-logo è forte l’ esigenza di consolidare i piani di approvvigionamento, ma anche un “mezzo” per favorire ed accelerare un processo di aggregazione tra imprenditori privati che è imposto dai tempi e che va al di là della questione della logistica e del supply. Per avviare una attività logistica e di supply con risultati operativi interessanti potrebbe essere sufficiente concentrare su una base di terzi un volume all’ intorno di cento-duecento milioni di litri e quindi certamente alla portata di un piccolo gruppo di imprenditori privati, uno sforzo in pratica abbastanza modesto. Ben più consistente e problematico appare quello che richiede il cambiamento di cultura di cui sopra. Il mio punto di vista è che anche questo processo di trasformazione da ruolo di commerciante a quello di industriale è ineludibile per coloro che intendono continuare ad operare con successo nel business petrolifero. Il problema è solo quello di convincersene in tempo utile, magari per sfruttare al meglio situazioni favorevoli che potrebbe non ripetersi nel futuro. Il mio obiettivo di oggi era semplicemente quello di trasmettervi alcuni messaggi.