News 15 Giugno 2009

Carburanti, la ”Rivoluzione sulla Rete”

Rivoluzione come risultato di autentiche dinamiche di mercato: il ruolo di GDO e No-logo’, ‘Alessandro Proietti’, ‘Razionalizzare la rete è una necessità ma i benefici per i singoli soggetti non sono così chiari come si vorrebbe fare intendere. In una configurazione teorica della domanda e della offerta omogenee sul territorio, una rete di 22.000 e più impianti è ovviamente eccedente le esigenze del consumatore e come tale causa di inefficienza certa. La situazione reale è diversa perché la domanda è frazionata su più di 8.000 comuni e l”offerta è pure tutt”altro che omogenea. E” allora ovvio che i pros, ed i cons, di una ristrutturazione della rete non potranno mai essere uguali per tutti.Il problema non è dunque se razionalizzare o meno la rete carburanti ma come realizzarla nell”obiettivo di dare un reale vantaggio al consumatore laddove, chiusura degli impianti incompatibili a parte, l” ultimo modello di incentivazione noto ora allo studio mi appare alquanto discutibile. Vorrei essere certo che qualcuno abbia fatto un esercizio di questo genere: se la riduzione a 17.000 impianti comporta un aumento dell” erogato medio del 30% ca. siamo certi che questa maggiore efficienza si traduca davvero per tutti in un minor costo, e quindi, in un minor prezzo per chi acquista, al netto dell”onere della ristrutturazione e magari delle maggiori percorrenze per la rarefazione degli impianti? Quale è la definizione di efficienza? Perché prendere a riferimento solo l”erogato? In questo momento se ci sono degli impianti inefficienti sono quelli autostradali, anche se solo in parte a causa dell”erogato, ma nessuno pensa di includere questi impianti nella lista dei 5.000.Si sostiene che la chiusura di 5.000 impianti consentirebbe, da subito e per sempre, l”azzeramento della differenza del prezzo medio Italia vs la media europea (il 16 settembre lo “”stacco”” Italia era di 31 e 19 millesimi € rispettivamente per benzina e gasolio). Sembrerebbe un “”affare””, ma è difficile crederci. Peraltro, assumendo un contributo medio nei tre anni di 5 €/mc a carico del consumatore (sorvoliamo sulla ingenuità di chi lo vorrebbe un onere dei soli operatori) il fondo avrebbe una dotazione di oltre 500 milioni di euro tale da consentire una “”incentivazione”” di 200.000 € ca. per ciascuno dei forse 2.500-3.000 impianti da chiudere (per quelli incompatibili non c”è incentivo), impianti che oggi non hanno mercato o che valgono meno della metà dell”incentivazione stessa. Incentivare la chiusura di impianti che per essere inefficienti hanno contribuito per anni a far aumentare il prezzo del carburante? Probabilmente il consumatore non sarebbe affatto d”accordo se qualcuno lo informasse di come stanno le cose.Una vera “”ristrutturazione””E” stato detto correttamente che a livello europeo siamo il Paese dove è più facile fare rifornimento: abbiamo un punto vendita ogni 8 km rispetto ai 15-20 di Germania e Regno Unito e agli oltre 30 della Francia. Supponiamo di metterci allo stesso livello di UK e Germania ovvero di passare da una percorrenza per rifornimento da 8 a, diciamo, 18 km ovvero di 20 km considerando una andata ed un ritorno. Una percorrenza di 20 km comporta un consumo di 1,7 litri (pari a 12 km/lt) ovvero un maggior costo (per 1,6 €/litro) di 2,72 €. Supponendo un rifornimento medio (massimizzato vista la maggior percorrenza) di 50 litri la maggiore percorrenza alla quale il consumatore “”medio”” è obbligato comporta un maggior onere “”medio”” di 54 millesimi/litro. Vi risparmio i commenti. Forse sarebbe più corretto lasciare al consumatore la decisione se rifornirsi a 8 o 20 km a fronte del reale costo e quindi se pagare o meno il prezzo della presunta o reale inefficienza dei singoli impianti. E” il consumatore che è interessato alla ristrutturazione della rete oppure lo sono le società petrolifere? Dovrebbe essere il primo anche perché in ultima analisi è colui il quale della ristrutturazione sostiene i costi. Ma è veramente così?Allora niente ristrutturazione rete? Al contrario, ma una ristrutturazione come risultato delle autentiche dinamiche del mercato, senza incentivazioni per mantenere aperti impianti che dovrebbero essere chiusi ed ora senza incentivazioni per la loro chiusura. La ristrutturazione della rete è esclusivamente nelle mani delle società petrolifere e dovrebbero sentirne il dovere perché sono in gran parte responsabili della inefficienza del settore e quindi del maggior costo che il consumatore italiano sostiene rispetto a quello di altri Paesi, accise ed Iva a parte.Se le società petrolifere volessero, e ora forse finalmente lo vogliono davvero, la razionalizzazione della rete diventerebbe un processo per niente costoso perché dovrebbero solo decidere di: (1) abbandonare la poco seria pratica di vendere a terzi gli impianti inefficienti evitando così di chiedere poi al consumatore di finanziare il fondo per la chiusura degli stessi; (2) vendere i carburanti a prezzi rigidamente commisurati ai costi reali che sono naturalmente diversi da impianto ad impianto; (3) rivedere i parametri di valutazione degli investimenti per realizzare impianti che difficilmente potranno raggiungere standard di efficienza accettabili, magari a danno di impianti efficienti già esistenti; (4) evitare poi che gli impianti inefficienti rimangano in vita grazie a robuste “”flebo”” di profittabilità artificiale magari con forniture extra rete, beneficiando di uno spreadtra prezzi prezzi extra rete e rete non giustificato dalla differenza dei costi associabili ai due mercati.In questo caso assisteremmo ad una ristrutturazione per così dire fisiologica, con il consumatore che diventa arbitro della stessa in funzione alla sua disponibilità a sostenere i diversi gradi di efficienza e quindi i diversi livelli di prezzo sul punto di vendita di suo interesse. In questo caso le chiusure, a prescindere da quelle degli impianti incompatibili, potranno essere inferiori o superiori alle previsioni o ai desiderata di oggi, e quasi certamente diverse dalle attese in quanto a distribuzione geografica, ma avrebbero il vantaggio di dare al consumatore la certezza, o la percezione di questa, di una ristrutturazione realizzata nel suo interesse.Disagio non giustificatoCondivido l”uso del termine “”no-logo””, anche se parzialmente improprio, rispetto al più usato, Gdo a parte, “”pompe bianche””. Ho infatti eliminato dal mio vocabolario il termine “”pompe bianche”” perché riduttivo di una realtà che è ben più complessa perché già oggi gli “”indipendenti”” sono spesso strutture altamente automatizzate ed informatizzate e dispongono del know-how necessario per gestire l” attività con l” autonomia e la flessibilità richiesta dalla evoluzione del mercato senza trascurare il fatto che in certe aree operano con una quota mercato ed una immagine alquanto superiori anche a quelle dei market leader.Non appare inoltre giustificato il disagio che le società petrolifere talora manifestano nei confronti di GDO e degli indipendenti perché se nei confronti della Gdo il disagio potrebbe essere, direi anche giustamente, riconducibile al discutibile esonero dall” obbligo del pagamento della Robin Tax, “”indipendenti”” e GDO si sono sviluppati anche come derivati delle strategie, e quindi della volontà, delle società petrolifere. E” un fatto che “”indipendenti”” e Gdo non hanno finora dovuto preoccuparsi di sviluppare attività di supply e di logistica proprie potendo tranquillamente approvvigionare i loro impianti dalle società petrolifere, praticamente tutte, che operano sul mercato mentre la loro strategia di pricing ha sfruttato il già citato spread di prezzi tra mercato rete ed extra rete.Apparentemente in questi ultimi anni le società petrolifere hanno rivisitato le loro strategie di presenza sul mercato subordinandole ai nuovi obiettivi che privilegiano risultati di breve termine il che le porta a comprimere investimenti, costi operativi, working capital oltre a ridurre rischi di varia natura. E” pertanto inevitabile che si lascino spazi di attività scoperti, spazi che possono rappresentare opportunità per altri operatori, new entry o già esistenti sul mercato. E” esattamente quello che sta accadendo da qualche tempo e dubito che ci possano essere inversioni di tendenza a breve.Si tratta di una ridistribuzione, mi auguro consensuale, di ruoli, responsabilità, oneri ed onori ed In questa prospettiva “”indipendenti”” e Gdo dovrebbero essere considerati dall” industria petrolifera dei clienti piuttosto che dei concorrenti, forse addirittura in una logica di partnership, lasciando a questi la problematica responsabilità di competere sul mercato sulla base delle proprie risorse.Il divario Nord-SudNel lungo termine nessuna differenza perché l”evoluzione del mercato verso il nuovo modello di fare business può richiedere tempi diversi ma il punto di arrivo non può che essere lo stesso al Nord, al Sud, all”Est e all”Ovest. Il modello di business di riferimento per tutti gli imprenditori privati è necessariamente quello di “”indipendente”” a prescindere dal brand che poi si vorrà e potrà utilizzare.I tempi di adeguamento saranno più lunghi per gli imprenditori del Centro-Sud perché oltre a quelli necessari affinché la logistica diventi più accessibile a tutti dovrà potersi sviluppare una cultura del cambiamento verso nuove forma di competizione che “”il Nord”” è stato costretto ad acquisire già da molto tempo. Naturalmente ci sono imprenditori del Sud che si sono già mossi in questa direzione, imprenditori ai quali tutti gli altri dovrebbero ispirarsi per attivare da subito quelle iniziative che oltre ad essere propedeutiche allo sviluppo de “”modello imprenditore”” del futuro risulterebbero a tutto vantaggio di una maggiore efficienza nelle operazioni di oggi. Iniziative neppure tanto complesse o costose, ma che fuori ogni dubbio debbono essere affrontate seriamente come veri e propri progetti la cui esecuzione potrebbe richiedere competenze che non sono di tutti.