News 30 Settembre 2014

Assoindipendenti: per la rete carburanti lasciar fare al mercato – Lettera aperta all’on. Abrignani (FI)

di Alessandro Proietti

In questa lettera aperta inviata al deputato di Forza Italia Ignazio Abrignani (che ha presentato lo scorso luglio un’interrogazione al ministro dello Sviluppo economico per conoscere il destino del ddl sulla razionalizzazione della rete carburanti, v. Staffetta 30/07), il presidente di Assoindipendenti, Alessandro Proietti, mette in dubbio l’utilità e l’opportunità della ristrutturazione ipotizzata dal Governo, salvando soltanto la parte relativa all’obbligo di chiusura degli impianti incompatibili (secondo la legislazione attuale) e rimandando tutto il resto alle dinamiche di mercato.

“Egregio Onorevole, ho apprezzato la sua interrogazione in commissione Attività produttive alla Camera come dimostrazione di attenzione e sensibilità nei confronti di un argomento troppo importante per essere lasciato ancora una volta alla casualità di periodiche inutili iniziative. Purtroppo del progetto “Ristrutturazione Rete” incluso nel Ddl del 13 dicembre 2013 non si sa più nulla.

Questa nota non è un invito per un’altra sua interrogazione o qualche altra iniziativa di recupero del documento, ma al contrario la inviterei a fare quanto in suo potere affinché rimanga dove in questo momento riposa fino a quando non si troverà il coraggio di apportare quelle modifiche che molti, anche a seguito di ripensamenti successivi, ritengono assolutamente necessarie affinché il progetto sia fattibile.

Purtroppo il (presumo) temporaneo accantonamento del progetto una conseguenza grave l’ha già determinata ed è quella che riguarda la parte indiscutibilmente “sana” del progetto stesso che avrebbe resa finalmente obbligatoria senza possibilità di appello la chiusura degli impianti incompatibili. Perché infatti ci si vuole complicare la vita collegando due problemi che sono assolutamente diversi come la chiusura degli impianti “incompatibili” e la chiusura degli impianti “non efficienti”? Gli impianti “incompatibili” sono quelli che non rispettano le leggi esistenti, in altre parole sono “abusivi”, “fuorilegge” e come tali devono essere chiusi. Per la loro quasi totalità si tratta di impianti incompatibili da anni, forse da sempre, e nel caso c’è stato tutto il tempo per renderli compatibili. Quindi tolleranza zero. È troppo evidente che il problema della chiusura degli impianti incompatibili è solo nelle mani delle Istituzioni locali le quali devono applicare la legge e quindi revocare le autorizzazioni. Perché non lo hanno fatto finora? Come pretendere che lo facciano adesso? In comune c’è solo il problema, non minore, della bonifica dei siti che prima di contributi economici chiede procedure chiare e di semplice attuazione. Che dunque tanto per cominciare si affronti anche il problema della bonifica dei siti!

In premessa la inviterei a predisporre una accurata “anamnesi” del “malato”.

Come mai si è determinato lo sviluppo di una rete che è da sempre in eccesso rispetto alle apparenti esigenze del consumatore o comunque rispetto a quelle dei Paesi (UK, Francia Germania) con le quali siamo usi confrontarci? A prescindere dalla pesante riduzione dei consumi, un fatto però solo recente e che in parte poteva essere previsto, non c’erano già tutte le condizioni per procedere da tempo con una ristrutturazione? Perché invece di chiudere gli impianti inefficienti si è attivato un processo di compravendita supportato da iniezioni di illusoria temporanea profittabilità per allungare la vita di detti impianti? Come mai ad una prima fase di ridimensionamento della rete alla fine degli anni novanta ha fatto seguito una fase con il ritorno al livello di 22-23.000 impianti? Quali le driving forces e quali i soggetti hanno favorito una tale situazione?

Passando dalla “anamnesi” alla “analisi”.

  1. Personalmente condivido la tesi di un numero attuale degli impianti in eccesso rispetto alle esigenze del consumatore e quindi, in linea di principio, di una rete distributiva poco efficiente. Che ci sia spazio per una razionalizzazione-ottimizzazione della rete non dovrebbero esserci dubbi ma su che base si individua nella chiusura di 5-7.000 impianti il recupero di una efficienza accettabile? Cosa si intende infatti per efficienza/inefficienza della rete? Quali elementi e quali valori individuano un obiettivo di efficienza? È corretto valutare efficienza/inefficienza solo in termini di erogato e nel numero di impianti? Non può dipendere anche da altri fattori? Ci si riferisce ad una efficienza/inefficienza media nazionale, ma questo ha veramente senso? Davvero un aumento di 200-300-400.000 litri/anno dell’erogato medio degli impianti “sopravvissuti” è la soluzione dei problemi del settore? Come si spiega il “caso autostrade”? Siamo certi del fatto che gli impianti più efficienti non siano proprio quelli che vogliamo chiudere? Ha senso parlare di efficienza di rete quando sono ancora insoluti i problemi alla base del mancato sviluppo dell’attività non-oil? Perché allora, in nome della efficienza, non si pensa alla incentivazione per la chiusura delle filiali delle banche, dei bar, delle gelaterie, dei giornalai, dei ristoranti, di tanti altri esercizi commerciali disseminati in abbondanza sul territorio anch’essi assolutamente in eccesso alla domanda?
  2. Un progetto di ristrutturazione che preveda incentivi alla chiusura finanziati nei fatti dal consumatore impone solidi e trasparenti economics. Quali sono gli economics del progetto visti dalla parte del consumatore? Nel piano del Ddl, il costo per il consumatore è noto ma quale è il ritorno di questo suo investimento? Si è tenuto conto anche del maggior costo per l’aumento della percorrenza per arrivare al rifornimento? Fatto non secondario, chi e in che modo si fa garante del consolidamento nel tempo dei vantaggi acquisiti a fronte di un investimento costoso? Quali sono gli ipotizzabili economics a livello di singola società petrolifera a fronte di diversi livelli di efficienza di partenza? Per quale ragione aderiscono al piano quelle società che inevitabilmente finirebbero per essere penalizzate dalla ristrutturazione per incentivazione in termini di quota mercato e di quanto ne consegue? Quali sono le possibili ipotesi per un nuovo scenario di quote mercato nel post-ristrutturazione?
  3. Perché la ristrutturazione della rete non viene considerata dalle società petrolifere, ognuna per suo conto, come un normale progetto di ottimizzazione delle operazioni da finanziare con mezzi propri reali o derivati, o che deriveranno, dal vantaggio competitivo conseguente la ristrutturazione stessa? Non è quello che hanno fatto finora alcune società ed alcuni imprenditori privati i quali la loro ristrutturazione l’hanno già attuata senza chiedere soldi a nessuno? Perché adesso si vuole imporre loro il costo di una ristrutturazione delle reti altrui?
  4. Come si possono fare economics ragionevolmente solidi senza disporre di una “anagrafe della rete”, un inconcepibile vuoto di informazioni di base fondamentali per qualsiasi progetto di ristrutturazione? Parlare di incentivazione alla chiusura di impianti inefficienti senza avere gli elementi per ipotizzare le possibili conseguenze sul territorio equivale a giocare a mosca cieca. L’anagrafe della rete consentirebbe infatti di trovare la risposta ad una domanda che non è di secondaria importanza: siamo certi che dobbiamo varare un progetto unico adeguato alle esigenze, ma anche alle reali possibilità del Nord e del Sud, dei soggetti “grandi” e dei “piccoli”, “dipendenti” o “indipendenti”? Dove sta scritto che deve essere un progetto unico che vada bene dal Brennero a Capo Passero? Chi ci impedisce di sviluppare piani di razionalizzazione diversi a fronte di un network oggettivamente diverso per consistenza numerica, qualità, servizi offerti, e perché no, efficienza?
  5. Che cosa c’è di sbagliato nel lasciare che la ristrutturazione sia il risultato delle dinamiche di mercato come peraltro sembra sostenere anche l’Antitrust? Non sarebbe sufficiente fissare i prezzi alla pompa sulla base dei costi reali e puntuali inclusa la doverosa remunerazione, del fornitore, del gestore, del proprietario, lasciando di fatto al consumatore la decisione se mantenerli operativi pagando prezzi più alti o se decretarne la chiusura? Perché una ristrutturazione che si realizzasse in questo modo dovrebbe essere catalogata, e quindi temuta, come “selvaggia”?
  6. Piuttosto che parlare di incentivazione alla chiusura degli impianti inefficienti perché non affrontare il discorso dei modi e dei tempi per lo smantellamento degli impianti sciogliendo il nodo della bonifica dei siti?
  7. Che il problema della razionalizzazione della rete esista è un fatto, ma è saggio pretendere di portarla avanti attraverso la radicalizzazione del concetto di sicurezza laddove sono troppi i fattori soggettivi di interpretazione del rischio? Quanti ricorsi ai vari TAR è ragionevole aspettarsi? Inoltre, è corretto far diventare non compatibile, imponendone la chiusura, un impianto che invece lo è sulla base della normativa vigente solo perché improvvisamente qualcuno ha deciso di cambiare le regole del gioco? Infine una considerazione di sano buon senso: per qualche decennio non siamo stati in grado di chiudere gli impianti incompatibili ed ora pretendiamo di chiuderne molti più in forza di più rigidi criteri di sicurezza? Per favore, restiamo con i piedi per terra: cominciamo a chiudere tutti gli impianti incompatibili rispetto alle leggi vigenti; poi tra sei mesi, un anno ne riparliamo.

Fine dell’analisi. La terapia e la prognosi dipenderanno dalle risposte che sapremo dare alle domande che vengono dall’anamnesi e dalla analisi di cui sopra. Mi auguro che lei possa trovare risposte convincenti e sono certo che allora si renderà conto che il problema è ben oltre il chiedere che fine abbia fatto il Ddl sulla ristrutturazione della rete ed è tale da rendere opportuna una seria rivisitazione del progetto, soprattutto nelle sue assunzioni di base. Ce lo impone la logica più elementare, ce lo impone l’opportunità di non sprecare risorse finanziarie importanti (500 M€?) anche in considerazione del particolare difficile momento che il Paese attraversa.”